Quando e quanto i social ci permettono di creare persone che non esistono

Nell'internet del mondo, quello dove il giornalismo ancora regala qualcosa in più dei ridicoli drammi da Uomini e Donne in versione "0,000000001% Clostebol" (e chi sa, sa, non userò quel nome e quelle keyword per questo articolo) a volte escono notizie interessanti, che dimostrano alle persone "normali" la potenza della comunicazione e dei social.

Nello specifico, mi riferisco a questa notizia che, vi riassumo brevemente, è più o meno questa.

Tizio random si inventa tre persone con cui ha avuto una relazione, crea i loro profili, i loro background fittizi, ne gestisce gli scambi di messaggi sui social e le loro interviste via e-mail o messaggi privati sulle piattaforme di messaggistica.
Nel farlo, tutti e tre i personaggi diventano figure di spicco nella comunità dei "Giocatori Disabili", disabled gamers, che comprende persone con vari tipi di disabilità che giocano ai videogiochi.
Anni dopo la "scomparsa" (tramite morte inventata o deattivazione dei social) di queste persone, un outlet di informazioni (IGN.com) conduce un'indagine per scoprire che nessuna di queste persone è mai esistita e il tizio cancella tutti i social, ritirandosi senza commentare la questione.

Insomma. Una bella storia, che come tutte le grandi favole ci lascia con una morale da interpretare: quando e quanto possiamo inventare persone che non esistono e creare qualcuno che non esiste, comprese versioni fittizie di noi stessǝ?

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Se il social engineering non vuole più solo i tuoi dati

È un periodo tumultuoso per il mondo umano questo.

Nei soli ultimi due anni i titoli di giornale che hanno fatto più scandalo vanno da questo o quel personaggio losco che acquista una piattaforma social incitando alla guerra civile, alla criminale che punta il dito contro atlete olimpiche a caso dicendo che sono uomini che fingono di essere donne. Storie incredibili, che paiono tratte direttamente da un romanzo di Philip K. Dick (fortunatamente per lui, morto prima di vedere i suoi libri diventare la realtà che viviamo) e che invece ci investono quotidianamente.

Questo dovrebbe farci soffermare, almeno più di una volta al giorno, sulla potenza della comunicazione e sulle conseguenze che un atto apparentemente innocente come scrivere qualcosa sul proprio profilo social possa di fatto avere conseguenze devastanti o, quantomeno, impattanti su un grande numero di persone nel mondo.

Facciamo un esempio più concreto e ricolleghiamoci direttamente a Susan Banks, sperando la curiosità vi abbia spintǝ ad aprire il link e leggere la storia: un signore di nome Coty Craven, per motivi al momento ignoti, ha creato negli anni tre donne di etnie e background diversi, spacciandole come sue partner, attraverso cui ha condiviso storie estremamente di successo nella comunità di gamer con disabilità.

Perché? Non lo sappiamo.
Cosa ha ottenuto? Diverse cose.

In primis, ha ricevuto molta attenzione da parte dei vari sviluppatori ed editori di videogiochi, in secundis ciò gli ha permesso di ottenere, tramite crowdfunding e altri metodi di raccolta fondi, le risorse necessarie ad avviare progetti dedicati all'accessibilità nei videogiochi, come Can I Play That.

A prima vista, così come anche alla seconda e alla terza, questo ragazzo-ora-uomo ha fatto del bene, pur utilizzando maniere... scorrette? Particolari? Strane?
Decidete voi la parola.

Questo ci porta a considerare la faccenda sotto un punto di vista che, come accade spesso in quello che scrivo su questo blog, va a fare l'avvocato del diavolo a pratiche universalmente riconosciute come sbagliate.

Cos'è l'ingegneria sociale e come funziona

Il termine "social engineering", che va ben oltre quello che chi si occupa di cybersecurity è portato a pensare (cioè una tecnica che sfrutta l'errore umano per ottenere password e dati), si riferisce a una specifica disciplina delle scienze politiche.

In poche parole, è un tentativo di influenzare gli atteggiamenti e comportamenti sociali su larga scala, dei governi o solo di alcuni gruppi privati. Per fare un esempio banale: il terrorismo religioso sul chi va all'Inferno e chi in Paradiso al fine di influenzare le scelte politiche delle persone, o creare sette religiose con scopi criminali.

L'ingegneria sociale è un fenomeno complesso, perlopiù nascosto e che ha un sapore che ricorda quello del complottismo, ma che in realtà si nota in tutta la sua potenza e visibilità nelle piccole comunità, proprio come quella dei gamer disabili raccontata dall'articolo.

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L'ingegneria sociale è ciò che rende il social marketing utile

Utilizzo spesso questo fenomeno come termine di paragone di chi mi dice "ma non ottengo risultati con i social media", "non vendo facendo comunicazione", "spendere soldi per articoli e post è inutile". Certo, forse per un'ottica limitata esclusivamente al vendere prodotti o far ottenere, chessò, sottoscrizioni al proprio servizio potrebbe non essere il metodo primario, ma ogni volta ai miei clienti pongo questa domanda: come vuoi ti vedano i TUOI clienti?

Il social engineering è insito in pressoché ogni tipo di presentazione pubblica di un'azienda o un personaggio pubblico.

Avere un social corposo, ben strutturato, oppure una sezione blog aggiornata, dove si trovano articoli utili (sempre più difficile se si usano le IA per farli), non è primariamente collegato al "vendere di più" o "ottenere più [obiettivo del cliente]", ma permette di dare a chiunque si interessa all'attività coltivata una visione diversa, molto più professionale, che non fa sembrare degli "improvvisati", di fatto aumentando il valore percepito di ciò che viene proposto.

Una volta l'ingegneria sociale si "accontentava" di manipolare le politiche di un governo, oppure di creare manipoli di fedeli nelle sette religiose e proseliti con ideologie simili per ottenere scopi più o meno giusti.

Oggi nel mondo del marketing sempre più aggressivo, dove si è sdoganata la manipolazione persuasiva (tutti quei "manuali" di comunicazione persuasiva che vedete in giro ne hanno sempre un po' dentro) e che sfonda la quarta e quinta parete della comunicazione con tecniche di neuromarketing, l'ingegneria sociale è parte integrante del processo comunicativo.

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I Robin Hood della comunicazione e gli influencer creati dall'IA

In questo contesto è facile ora collocarvi due fenomeni che abbiamo visto negli ultimi anni.

Da una parte gli influencer che "non esistono", creati con strumenti di IA e gestiti da un manipolo di persone che sperano di farci i soldi, o semplici curiosi che tentano un esperimento, che comunicano (o a volte non comunicano) ai propri follower di essere personaggi fittizi, gestiti da persone reali.

Dall'altra una branca di persone che, invece, esistono dall'alba dei tempi dei social: i roleplayer o, come sarebbe più corretto definirli, gli "impersonator", impostori.

L'ingegneria sociale trova posto anche qui: attraverso quello che possiamo definire come "avatar" che fa da tramite, io, persona anonima e che non vuole esporsi pubblicamente sui social, posso pubblicare opinioni che voglio ottengano trazione.
Non pensate subito ai troll dei social, quelli pagati dai governi o dai politici per autocommentarsi i post o causare drammi nella sezione commenti.

Parliamo di esempi come Aitana, la modella spagnola AI, o qualcosa di più nostrano, come Elena Ferrante e il grande mistero che la avvolge.

Partendo proprio dall'ultimo caso, i social hanno dato la possibilità di creare profili con foto false (o rubate), post che sembrano raccontare una personalità o una vita che non corrispondono ad esperienze vissute realmente o che coincidono con chi le scrive, ma anche giocare "di ruolo", inventandosi personaggi per portare avanti lati del proprio carattere in maniera autonoma, per nulla differente da quella con cui lǝ scrittorǝ creano i personaggi dei propri libri.

A volte, come nel caso di Elena Ferrante o dei vari personaggi di Coty Craven (Susan Banks, Tubi Hamid e Damaris ‘Deb’ Burrell-Vaughan) questo sistema permette di "infiltrarsi" in determinate audience difficili da raggiungere, per i motivi più disparati, diventando di fatto una sorta di "Robin Hood" digitali: ruba la scena ad altre persone (e forgia delle identità), al fine di portare avanti un messaggio utile a tuttǝ.

Infiltrarsi è però una pratica tipica dei troll e degli agitatori di masse.

In alcuni casi, si parla di praticare questa infiltrazione ai "danni" di community trincerate che gli inglesi chiamano "gated communities", ovvero comunità chiuse dietro un cancello con tanto di guardiani, che monitorano l'accesso di chi può entrare. Il concetto è stato preso dai complessi residenziali dove il cancello è, letteralmente, un cancello, ma è una metafora interessante che spiega bene la natura di alcune di queste comunità.

Facciamo un esempio utilizzando proprio la finzione.

Se io fossi stata un uomo cisgenere (appartenente al genere assegnatomi alla nascita), bianco, italiano e avessi voluto partecipare a un collettivo femminista nero (Black feminism), le mie intenzioni sarebbero state certamente vagliate dalle appartenenti a questo (fittizio) collettivo.

Nel migliore dei casi, ovvero quello in cui non mi rifiutano e con gentilezza mi chiedono di supportarle e basta, avrei dovuto spiegare il mio interesse e pertinenza alla causa, in quanto ogni comunità che viene marginalizzata (come nel caso dei gamer disabili, ora ci arriviamo) viene spesso attaccata "dall'interno", con dei veri e propri infiltrati che fungono da agitatori per mettere in cattiva luce un evento, o l'intero movimento.

Ora, per facilità di comprensione, potete pensare a quei troll e account fake di internet a cui vi ho detto di non pensare prima. Quelli che si spacciano per [inserisci qui minoranza] e dicono cose raccapriccianti per causare dramma e mettere in cattiva luce suddetta comunità.

In maniera del tutto simile, gli "infiltrati" come Coty Craven riescono a permeare delle comunità marginalizzate attraverso quello che è a tutti gli effetti un travestimento digitale: una maschera, un avatar, un medium.

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Fingere è un male necessario? Oppure è un gioco di ruolo?

A questo punto, vale la pena chiedersi, è giusto fingere al fine di fare del bene? Se per dei preconcetti e delle dinamiche sociali ingiuste non mi è permesso di partecipare a un "walled garden" (giardino recintato, metafora per descrivere zone digitali chiuse all'accesso) dove posso apportare un contributo positivo, è giusto creare personaggi fittizi con cui inserirmi?

La risposta non l'avrete da me.

In compenso, mi viene conveniente spiegarvi che quello che premette l'esistenza di un'identità fittizia, con una foto profilo falsa, un background inventato e delle conversazioni create ad-hoc per portare avanti punti di riflessione e dare una visione specifica della persona inventata è, di fatto, un mix di social engineering, ghostwriting, social marketing e copywriting.

C'è stato (e c'è tuttora) un piccolo fenomeno legato al roleplay, il gioco di ruolo, sui siti di social media. Ovvero quello di creare profili "fake" con la tacita regola di non buttare mai la "maschera", non essere mai "out of character". Esattamente come in una partita di un gioco di ruolo, quello che la persona che dietro al personaggio fa e dice è sempre l'interpretazione di qualcuno che è inventato, non di chi è davvero a scrivere determinate cose.

Perché? Forse per divertimento, oppure per evasione dalla realtà, o ancora perché attraverso la recitazione di un personaggio si possono affrontare problemi personali e, talvolta, persino trovare un modo per risolverli.

Allora, a questo punto, dove si traccia la linea di confine tra "fingere" ed essere sé stessi attraverso un filtro?
Quanto ci si allontana dall'essere personaggi fake su un social per "giocare di ruolo", all'essere influencer patinati con foto ritoccate e video dove si mostra una vita che, al di fuori di quei 30 secondi di reel, non esiste?

Soprattutto: quando e quanto i social ci permettono di creare persone che non esistono? E con questi personaggi inesistenti, se portiamo del bene del mondo, siamo dei cattivi truffatori sociali, oppure persone che si sentono limitate dai sempre maggiori cancelli che vengono posti di fronte l'accesso e l'eventuale impatto che si può avere in determinate comunità?

Parliamone sul post di Mastodon legato a questo articolo, che uscirà a breve anche come primo articolo di Medium, ma in inglese.

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