L'importanza di chiamarsi Startup
"Non fa bene al morale assistere a una cattiva recitazione."
Mi perdoni Wilde, scomodato per un articoletto su LinkedIn riguardante le startup, ma ogni tanto fa bene ricordare che il mondo va avanti e, gira e rigira, torna sempre sullo stesso punto. Anche a distanza di secoli.
Tuttavia, in un momento così sconclusionato come quello che stiamo vivendo, vale la pena far notare che le grandi contraddizioni dell'età vittoriana, ce le siamo portate tutte dietro e compongono oggi quella che chiamiamo "Presentazione aziendale". Una gran confusione di teorie e scorciatoie per darci e dare, ai nostri clienti, un tono.
Tutto ciò che analizziamo, valutiamo, rielaboriamo e le branche di psicologia e neurologia che ci inventiamo per dare un senso alle cazzate di marketing che scriviamo, possono essere riassunte nell'esigenza di apparire, nell'importanza di presentarci con il servizio buono agli ospiti e tutto si ricollega sempre al secolare sogno americano: una macchina, una lavatrice e un forno per ogni casa. La presentazione, il mostrare lo status sociale attraverso mezzucci, scuse materiali e poco morali.
Così oggi siamo nella società del "Phygital", ma solo nell'apparenza.
Cerchiamo l'innovazione, ma guardiamo con la nostalgia di bambini troppo cresciuti ai tempi di Holly e Benji e le réclame anni '90, che quelli sì che erano bei tempi. Non solo non sappiamo prendere decisioni univoche, ma continuiamo a fare avanti e indietro fra il voler rinnovare il mondo, renderlo quella visione futuristica che Blade Runner ci aveva ispirato, e tornare ai cari vecchi tempi in cui altro che vaccini e scienza, una bella riunione di gruppo per attaccarsi il morbillo e farsi gli anticorpi. La società dei nostalgici collettivi.
Quello in cui viviamo è un mondo spaccato, dove il divario generazionale ha creato una crisi sociale importante, esattamente come i sociologi dei primi del 2000 avevano predetto, ma come Cassandra, trattati come cinici soggetti sovversivi, da manicomio.
In questo caos distopico, ci ritroviamo a dover costruire le brand identity, le brand strategy, personality e rendiamo umani credibili dei servizi da vendere, cercando disperatamente nel nostro background culturale qualcosa che accomuni tutti, anche se questi tutti vorrebbero ammazzarsi di botte nel migliore dei casi. Parliamo per meme come fossero le uniche certezze della nostra era: Garpez, smarmelliamo, da grandi poteri derivano grandi responsabilità... ricopiamo la cultura popolare e la plasmiamo a seconda dell'esigenza. Si dice, dopotutto, che le note di un pianoforte siano sempre le stesse, cambia solo la combinazione. L'artista ruba, non copia, giusto? Di frasi fatte ne possiamo dire tante, ma l'appiattimento sociale non cambia, come l'ordine degli addendi non fa cambiare il risultato.
C'è stato, in questi giorni, chi mi ha fatto i complimenti per il mio nuovo lavoro come copywriter di una piccola startup, di cui non c'è più traccia alcuna sul mio profilo.
Ho cancellato per vergogna il tutto, come chi si lava ossessivamente le mani dopo aver commesso un omicidio. Questo perché odio dovermi dare ragione, ma il mio cinismo la sa lunga e percepisce, come l'aura di Dragonball, le persone troppo simili all'Ernesto di Wilde.
La realtà più ampia e meno personale, però, è che queste startup improvvisate, create da sedicenti professionisti "sul campo da [X] anni"* soffrono ancora più di quest'ossessione all'apparenza di cui vi ho parlato. Sulla carta tutte queste aziende create dal nulla e senza obiettivi precisi sono innovative e rivoluzionarie (le due parole più abusate in ambito startup, ma per motivi inspiegabili ancora efficaci) ma a capo, sopra le startup, ci sono persone praticamente fuse, in maniera grottesca, al timone della nave costruita anni prima, validandosi di volta in volta con i minori traguardi raggiungibili e circondandosi di Yes Men.
Brutte esperienze, che in Italia rappresentano un po' la norma delle Startup®, con eccezione di quelle della Gig Economy, altro discorso che rappresenta un altro film dell'orrore da censurare ai bambini e che non verrà trattato in questo articolo rigorosamente PG14.
Oggi l'economia, grazie anche al COVID, si è finalmente mostrata platealmente come un sistema fallaceo di base della società. Con buona pace del mio animo socialista, il teatrino del capitalismo come schema ideale è crollato un po', stile Colosseo, con alcune vittime illustri. Così ora ci dobbiamo aggrappare tenacemente al "virtue signaling", al mostrare i valori su cui si basano queste aziende, queste Vere Realtà Vere™. Una tendenza che, tra l'altro, ha generato mostri tipo la fantomatica dittatura del politicamente corretto e tante altre follie collettive, altri film horror PG18 (o NC-17, se vi piacciono le americanate).
Serve però capire che aprire una startup non è la stessa cosa dell'aprire un altro punto vendita di una profumeria storica. Non si può essere capi e finanziatori in stile Startup della post-net bubble. Quantomeno, non si può fare senza avere capacità di giudizio e abilità di comprensione umana fuori dal comune. Così le startup falliscono e l'Italia si riduce alla solita, stantia, frase che "l'Italia è un paese vecchio". Citando l'ennesimo meme culturale, "[inserire nome] è nato apposta per fallire, per dimostrare che [settore lavorativo] diverso in Italia non solo non è possibile, ma neanche auspicabile".
Tutti vogliono essere Steve Jobs, ma finiscono per diventare la versione pezzotta di Robin, quella che poi diventa Red Hood. Se state leggendo e siete nervosi e incattiviti con me, fatevi un esame di coscienza. Se siete invece vittime come me di questa società, prendete un bel respiro, mettete su un po' di musica e cerchiamo soltanto di portare a casa la giornata.
*dove X è equivalente al Coefficiente di Cazzaro di chi lo dice
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